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Il disagio giovanile

Marina Moro, psicologa
 
L’adolescente e il cambiamento
La parola adolescenza deriva dal latino adolescere che significa “crescere”; altre fasi di sviluppo della vita della persona prevedono una “crescita”, ma nessuna, come l’adolescenza, prevede così ampi cambiamenti.
L’adolescenza è una condizione di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Il mondo dell’infanzia rappresenta uno spazio sicuro e protetto dove le figure adulte di riferimento appartengono alla sfera familiare. L’immagine che il bambino costruisce di sé e del mondo esterno passa attraverso il riconoscimento e il rispecchiamento dei genitori, che garantiscono protezione e rassicurazione.
È proprio nell’infanzia che l’individuo “getta le basi” per la costruzione della sua personalità. Nella realizzazione della persona questo periodo della vita riveste una grande importanza perché, come i primi piani di un edificio, permette di sostenere e determinare i livelli successivi di sviluppo (i piani superiori).
Durante l’adolescenza il ragazzo si distanzia dalla sicurezza e prevedibilità del mondo infantile, caratterizzato in larga parte dall’impronta dei genitori, per avventurarsi nell’esplorazione del territorio adulto utilizzando percorsi sempre più personali.
Ritornando alla metafora dell’edificio l’adolescenza potrebbe corrispondere al “piano di mezzo”, alla fase intermedia dello sviluppo, dove la necessità di costruire un’identità stabile, un edificio solido, passa attraverso la sperimentazione di nuovi stili di relazione (al pari degli stili architettonici) alla ricerca di un proprio personale modo di stare al mondo. L’età adulta, durante la quale rimane comunque possibile attuare cambiamenti e riaggiustamenti, rappresenterebbe quasi una conseguenza di ciò che la persona ha costruito nelle fasi antecedenti della sua vita: di norma l’adulto ha già strutturato nel tempo una propria stabilità. L’instabilità dell’adolescente è invece dovuta al fatto che egli non è più il bambino di prima e non è ancora l’adulto che sarà.
L’adolescenza è perciò caratterizzata, da un lato, dalla nostalgia e dal senso di perdita per un passato fonte di sicurezza, rappresentato dall’universo familiare, e dall’altro, dal desiderio di crescere e sperimentare, che porta con sé l’incertezza della nascita nell’universo sociale.
Mentre cerca di conquistare il suo posto nel mondo degli adulti l’adolescente si ritrova a dover gestire diversi livelli di difficoltà dovute ai grandi rimaneggiamenti e trasformazioni sia sul piano psicologico che su quello fisico. Non è facile stabilire in modo preciso l’arco di anni attraversato dall’adolescenza. Se le modificazioni di tipo fisiologico e ormonale, la pubertà, fissano il punto di partenza dell’adolescenza, non esistono parametri biologici che ne indicano la fine.
In tutte le società la durata dell’adolescenza è strettamente legata all’ambiente familiare e sociale. Nelle società primitive la presenza di riti di passaggio permette di “regolamentare” i momenti esistenziali critici. L’adolescente attraverso un rituale sociale ha la possibilità di uscire dalla condizione di isolamento, solitudine e vergogna perché viene inserito all’interno di una percorso riconosciuto socialmente ed uguale per tutti, dove al dubbio si sostituisce la certezza. Nelle società occidentali la durata dell’adolescenza è più variabile perché il singolo è lasciato a se stesso e il riconoscimento sociale è influenzato soprattutto dal percorso educativo/scolastico. L’adolescente non è un adulto finché “deve ancora imparare”. Ci troviamo così di fronte ad adolescenze protratte o interminabili dove il prolungamento degli studi, le difficoltà a collocarsi nel mondo del lavoro e la mancata indipendenza economica intensificano la dipendenza dalla famiglia e congelano i movimenti di autonomizzazione.
I cambiamenti di tipo fisiologico, le modificazioni nel modo di pensare, nei sentimenti e nel rapporto con gli altri si influenzano a vicenda, ma necessitano per attuarsi e stabilizzarsi di essere, in una certa misura, riconosciuti. L’idea di sé dell’adolescente si arricchisce dell’immagine che vede riflessa negli altri (rispecchiamento) e il bisogno di convalida, un tempo soddisfatto dai genitori, si rivolge ora al sociale.
 
I cambiamenti del corpo
L’adolescenza è l’età in cui avvengono i maggiori cambiamenti corporei nel minor lasso di tempo e, beffa della sorte, il momento in cui la fisionomia del ragazzo si caratterizza più precisamente nella somiglianza ai genitori, proprio ora che è maggiore il bisogno di staccarsi da loro per acquisire una propria identità.
Poiché la crescita e il cambiamento delle proporzioni del corpo di per sé non sono fenomeni controllabili, essi possono, per molti adolescenti, diventare fonte di insicurezza, per di più è possibile che i tempi di maturazione del corpo e della mente, non essendo sempre sincronizzati, accentuino nei ragazzi il vissuto di disarmonia. La difficoltà a tener dietro ai cambiamenti del corpo può far nascere la paura di non piacersi, ne è una prova il tempo passato davanti allo specchio. Il corpo diventa il luogo di un processo di evoluzione non solo in termini di accrescimento, ma soprattutto per il manifestarsi delle caratteristiche sessuali.
Alle modificazioni esterne si accompagnano delle modificazioni interne in termini di sensazioni, sentimenti e stati d’animo; la maturazione sessuale, per esempio, fa nascere la paura di essere notati e di non piacere agli altri, cioè il sentimento di vergogna, e la sensazione di inutilità/frustrazione per il fatto di avere una sessualità della quale gli adulti vietano l’espressione.
Il corpo proprio perché esposto e notato, nell’adolescenza più che in altre fasi della vita, si trova così al centro di scambi relazionali e affettivi. Il corpo assume un significato sociale comunicativo e attraverso il corpo il ragazzo esprime la sua appartenenza o differenziazione nei confronti della società. Il bisogno di aderire alle mode può rispondere alla necessità di segnalare l’appartenenza o la rassomiglianza ad un certo gruppo, allo stesso modo, i repentini cambiamenti di look spesso evidenziano il desiderio di differenziarsi alla ricerca della propria unicità/originalità o il bisogno di travestirsi per mascherare aspetti di inadeguatezza.
 
I cambiamenti del modo di pensare
Anche la mente, intesa come capacità di pensare, si sviluppa procedendo per fasi. Il livello superiore di sviluppo dell’intelligenza viene raggiunto nella fase adolescenziale pertanto i ragazzi verso gli 11-15 anni sono in possesso degli stessi strumenti intellettivi propri degli adulti.
Il tipo di pensiero che caratterizza l’infanzia, pur differenziandosi in altre sottofasi secondo l’età, è un pensiero concreto cioè strettamente legato al presente. Tutte le operazioni mentali dei bambini hanno bisogno di avere una corrispondenza con il mondo della realtà tangibile.
In adolescenza si attua il “salto di qualità” nella maturazione intellettiva rappresentato dalla capacità di svolgere ragionamenti astratti. Il contenuto delle operazioni non è più vincolato alla realtà presente, diventa possibile creare collegamenti e ipotizzare legami fra dati non direttamente osservabili; non a caso è questo il periodo in cui a scuola vengono apprese le equazioni matematiche e la soluzione di problemi a partire da ipotesi e procedendo per verifiche e falsificazioni.
Il passaggio dal pensiero concreto a quello astratto richiede all’adolescente la capacità di operare una sintesi fra i dati appartenenti al passato e al presente (deduzioni) e quelli che si riferiscono al futuro (capacità di formulare ipotesi) con gli aspetti di incertezza e problematicità che esso evoca.
La capacità dell’adolescente di pensare prescindendo dalla realtà concreta, insieme al bisogno di scoprire e inventare, favorisce lo sviluppo della creatività, ma anche della fantasia e dell’immaginazione centrate prevalentemente su di sé. La fantasia consente una sperimentazione “senza danno” e mette in moto i desideri che spingono all’azione e al comportamento; in questo senso riveste un ruolo non solo difensivo nei confronti della realtà, ma anche propulsivo per l’azione nella realtà.
 
I cambiamenti nei sentimenti e nelle relazioni con gli altri.
Come già sottolineato il compito prioritario dell’adolescente è l’acquisizione di un senso di identità personale in una fase di passaggio dal modo infantile (dipendente) al mondo adulto (autonomo). Contemporaneamente l’adolescente si deve separare dai vincoli precedenti e individuare e acquisire una propria autonomia di pensiero, emozioni, responsabilità e opinioni. Il dilemma che si ritrova a vivere ha a che fare sia con il bisogno di crescere ed emanciparsi dalla famiglia, sia con la paura di non essere in grado di farlo.
Le repentine trasformazioni dell’affettività in sentimenti tra loro contrastanti riflettono diversi modi di percepirsi rispetto il compito evolutivo. Spesso gli adolescenti esprimono sentimenti di tristezza, chiusura o indifferenza come se prevalesse la paura di crescere o il bisogno di preservare uno spazio privato. A volte trasformano il loro stato d’animo in una condizione di eccitazione o intraprendenza, segnalando la necessità di sperimentarsi o di proteggersi dalla depressione. Ciò che colpisce di queste manifestazioni è la loro intensità, è come se l’adolescente avesse difficoltà nel mettere insieme e modulare sentimenti diversi.
Il senso di solitudine che spesso può accompagnare i ragazzi di questa età, e che può derivare da una sensazione di “scopertura” rispetto alle garanzie dell’infanzia, viene affrontato attraverso il bisogno di intimità e di solidarietà con il gruppo degli amici (v. cap.7). L’intimità e la solidarietà permettono all’adolescente di entrare in contatto con altri due importanti stati affettivi: quello della condivisione e quello della cooperazione. Far parte di un gruppo è di fondamentale importanza poiché crea le condizioni di rassicurazione, un tempo garantite dai genitori, e consente al giovane di sperimentare diversi modi di essere e di proporsi in un contesto protetto.
All’intensificarsi del rapporto con il gruppo dei pari si accompagna anche la “crisi” nella relazione con l’adulto. Durante l’infanzia l’adulto rappresenta una fonte di sicurezza, i genitori in particolare sono delle figure idealizzate alle quali il bambino si affida totalmente e dalle quali riceve in cambio amore ed ammirazione.
Con l’avvicinarsi dell’età adulta il ragazzo oltre ad acquisire progressivamente degli strumenti, che lo rendono sempre meno bisognoso di affidarsi a qualcuno che lo tuteli, diventa in grado di percepire con sempre più chiarezza anche i “punti deboli” del mondo degli adulti. I genitori per primi si sentono scaraventati sul banco degli imputati accusati di essere fonte di delusione per il figlio che sembra vergognarsi di loro mentre fino a poco prima li adorava. Le piccole contraddizioni quotidiane, le ambivalenze e i dubbi dei genitori diventano da subito il bersaglio di critiche pungenti.
Le modalità relazionali adottate con i genitori riflettono, ancora una volta, il dilemma bisogno/paura rispetto la crescita. La svalutazione delle figure un tempo idealizzate consente all’adolescente di separarsi più facilmente da loro e di affrontare meglio il timore della dipendenza infantile. La precedente idealizzazione dei genitori viene sostituita dall’idealizzazione di figure esterne alla famiglia, che rappresentano ora le sirene dell’emancipazione.
 
Perché proprio il disturbo alimentare?
Come già affrontato nel capitolo dedicato alle cause dei disturbi alimentari, è stata ipotizzata l’esistenza di una serie di fattori individuali predisponenti. Tra quelli psicologici hanno un particolare rilievo i problemi di autonomia, insieme alla paura di diventare adulti, i deficit di autostima, il pensiero “tutto o nulla” e la mancanza di senso di controllo sugli eventi.
Sappiamo che i disturbi dell’alimentazione, in particolare l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, insorgono nell’età adolescenziale. L’adolescenza come tutte le fasi di passaggio nella vita, pensiamo al matrimonio, la maternità/paternità, i cambiamenti di ruolo in generale, rappresenta un momento di vulnerabilità psicologica per la fragilità causata dalla perdita degli “schemi” precedenti e l’incertezza dovuta alla mancata padronanza di quelli futuri.
Inoltre i cambiamenti adolescenziali, ai quali abbiamo fatto riferimento all’inizio di questo capitolo, sono spesso accompagnati da ambivalenza, conflitto o difficoltà proprio nelle aree individuate come fattori predisponenti i disturbi alimentari. Qualora l’adolescente non sia in grado di far fronte al cambiamento è possibile che si produca una situazione di “blocco evolutivo” che può rappresentare un rischio per l’innescarsi di fattori scatenanti il disturbo alimentare.
Nel passaggio dalla dipendenza all’autonomia il disturbo alimentare potrebbe allora svolgere la funzione di mantenere una condizione di sospensione dove il ragazzo conserva modalità estremamente dipendenti rappresentate dalla mancanza di iniziativa, dall’assenza di bisogno di esplorazione del mondo esterno, dal ritiro dai rapporti con i coetanei e dall’assenza di progetti personali. In questo quadro di dipendenza quel che resta della rivendicazione di “autonomia” si restringe concentrandosi sulla sfera alimentare.
La paura di diventare adulti, se non risolta sostiene la permanenza in una condizione di dipendenza. Nell’anoressia in particolare la paura di crescere si manifesta anche a livello fisico: le ragazze anoressiche mantengono un corpo infantile che nega la femminilità anche attraverso l’assenza di ciclo mestruale.
Per il mantenimento della propria autostima (l’autostima si riferisce alla relazione esistente fra il concetto di sé di una persona e l’immagine ideale della persona che vorrebbe essere) l’adolescente attribuisce molta importanza alle relazioni con gli altri e al loro riconoscimento e conferma. Nell’adolescente in difficoltà ad un concetto di sé scadente corrisponde spesso un’immagine ideale quasi irraggiungibile, così che neanche le conferme esterne sembrano sufficienti a rassicurarlo circa il proprio valore.
Anche il tipo di pensiero “tutto o nulla” rinforza il sentimento di scarso valore in quanto la persona tende a classificare se stessa, le proprie prestazioni e il mondo che le sta intorno secondo due categorie: buono e cattivo. Tutto ciò che non è perfetto e ineccepibile risulta totalmente privo di valore. Le oscillazioni dell’umore dell’adolescente, dalla tristezza più cupa all’euforia, spesso riflettono questo modo di interpretare la realtà. Il desiderio di perfezione nelle persone affette da anoressia nervosa si manifesta nella ricerca e imposizione di diete severissime o in ogni caso in un’attenzione esasperata verso il proprio corpo. Nella bulimia il motore delle abbuffate sembra collegato proprio alla percezione di aver attuato una grave trasgressione nell’ingerire una quantità o qualità di cibo diversa da quelle considerata “ottimale”, ciò produce la sensazione di perdita di controllo che fa proseguire l’abbuffata.
 Il timore di perdere il controllo sugli eventi, che l’adolescente si ritrova a sperimentare nella gestione della metamorfosi della sua persona, nelle ragazze con disturbi alimentari si ritrova in modo accentuato. L’incapacità di gestire le nuove relazioni e la nuova affettività si evidenzia nel tentativo di controllare i propri istinti e il proprio corpo al punto di trascurarne i bisogni fisiologici: l’alimentazione restrittiva esprime così il desiderio di controllare la fame e il vomito quello di riprendere il controllo perduto durante l’abbuffata.
Purtroppo il controllo del proprio corpo e delle sue necessità produce risultati opposti a quelli dell’autonomizzazione: il circolo della dipendenza è inconsapevolmente rafforzato in quanto le condotte alimentari anomale, all’interno del nucleo familiare, suscitano reazioni di apprensione e iperprotezione del tutto inadeguate rispetto l’età del soggetto.
In sintesi a partire da una problematica comunemente presente in età adolescenziale, il disturbo alimentare può rappresentare un tentativo, più o meno consapevole, di risolvere la conflittualità nelle aree dell’autonomia, dell’autostima e del controllo degli eventi, restringendo il campo di azione alla sfera alimentare, probabilmente vissuta in modo meno angosciante rispetto a quella affettiva, relazionale e sociale.
Il prodotto di questo percorso più spesso porta ad un rafforzamento dei problemi iniziali in quanto aumentano i livelli di dipendenza dalla famiglia, vengono abbandonati i rapporti con il mondo esterno (i coetanei, la scuola, il lavoro ecc.), si abbassano ulteriormente i livelli di autostima anche perché insieme all’aumento del perfezionismo e dell’ossessività nei confronti del cibo si restringono gli spazi di relazione e azione.              
Malgrado esista un nesso fra le criticità che l’adolescente di trova ad affrontare e l’insorgenza di un disturbo dell’alimentazione, non dobbiamo dimenticare che l’adolescenza non è una malattia, ma una fase normale dello sviluppo; tutti gli adolescenti si trovano a dover affrontare il cambiamento senza che ciò li porti a sviluppare una patologia. L’origine e il mantenimento di un disturbo dell’alimentazione possono essere spiegati solo a partire da un modello multicausale che preveda la compresenza di diversi fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti.