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Insieme per liberarsi

Gruppi di auto mutuo aiuto

 

INSIEME  PER  LIBERARSI

 

auto mutuo aiuto

 " Può bastare un attimo. Ti fermi e pensi che da solo non puoi più farcela. Hai bisogno di un altro che ti dia una mano a trovare la forza di ripartire. Non un terapeuta (troppo impegnativo). Non un amico (capirebbe?). Non un familiare (gli affetti complicano il tutto). Cerchi qualcuno come te, che possa esserci senza giudicare. Ascoltare, senza dare consigli. Stare in silenzio o raccontarti di sè. Gratuitamente.

 

 

 

 

Sono tra i 130 mila e i 90 mila coloro che fanno parte di un gruppo di auto mutuo aiuto (Ama), cioè “persone che condividono una problematica e si incontrano per sostenersi reciprocamente”, spiega Alberto Gipponi dell’Ama-Brescia (http://amabrescia.org).
In settembre la cittadina lombarda ha ospitato il settimo convegno nazionale dedicato ai gruppi di auto mutuo aiuto che, suddivisibili in centoventitre tipologie secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Italia sarebbero circa 9 mila (per una mappatura nazionale dei gruppi: www.automutuoaiuto.it).
Dai primi, gli Alcolisti Anonimi, nati negli USA nel 1953, al boom degli anni ’70, i gruppi Ama nascono nelle più diverse situazioni di vita e di fronte alle più nascoste problematiche: dai giocatori d’azzardo a chi soffre di disturbi alimentari; dai “dipendenti” da internet ai genitori che hanno perduto un figlio o sono alle prese con un bambino affetto da Deficit Dell’Attenzione con o senza Iperattività. Piccole realtà, generalmente tra i quattro e i quindici componenti, fatte di persone alla “pari”, finalizzate a dare forza, emancipare, aumentare le capacità di sviluppo, di efficacia, di competenza della persona, in una parola a fare empowerment,concetto oggi molto usato nelle scienze sociali.
 
 
 
Come nascono i gruppi
 
 “Alcune persone fanno auto aiuto senza saperlo. Quattro o cinque amiche che s’incontrano e si raccontano dei loro problemi sono un piccolo gruppo che non sa di esserlo e lo scopre dopo mesi o anni”, spiega Gipponi. A Bari, per esempio, alcuni giovani cardiopatici, per caso, si sono ritrovati in palestra. Intorno ad una cyclette o tapis roulant dalla chiacchiera si è passati ad una relazione più profonda: “Hanno scoperto qualcosa di straordinario, l’auto aiuto, un processo di sostegno reciproco e la volontà di andare oltre il momento del ricovero” ha raccontato al convegno nazionale Giovanna Lupis dell’Ama-Bari. Così un pomeriggio, intorno alla macchinetta del caffè dell’ospedale è nata Ama-Cuore. Andrea, Franco, Francesco hanno capito che si stava meglio se si parlava con qualcuno che condivideva lo stesso problema e la stessa voglia di continuare a fare sport con sicurezza. Paradossalmente “la malattia è diventata una risorsa per andare avanti”, ha detto Lupis. Il gruppo ha deciso di portare la propria esperienza in ospedale, in cardiologia patologica, per dire ad altri che insieme si poteva trovare una via d’uscita. Ogni anno l’arresto cardiaco uccide 50 mila persone e un terzo muore per strada; molti sono i giovani e tanti hanno un arresto mentre corrono: il primo soccorso cardiologico è essenziale“. Per questo motivo Ama-Bari ha deciso di fare informazione nelle scuole e nei centri sportivi, ha dato vita ad un laboratorio di salute, ha promosso corsi di attività fisica in sicurezza.
“I gruppi in genere nascono per attrazione, se vengono imposti non funzionano: c’è un’associazione ombrello che copre una zona, fa da punto di riferimento per l’auto mutuo aiuto, indirizza le persone, accompagna i nuovi gruppi per i primi sette-dieci incontri e li tiene in rete“ spiega Gipponi, facendo riferimento all’attività di “ombrello” che dal 1997 l’Ama compie a Brescia e provincia. Una nascita spontanea, non imposta; la relazione faccia a faccia e la partecipazione personale; la condizione di difficoltà iniziale condivisa dai membri del gruppo; la funzione di risocializzazione e di autorinforzamento sono – secondo Silvia Catina, che sull’argomento ha sostenuto la sua tesi di laurea in Scienze del servizio sociale – le caratteristiche comuni a tutti i gruppi, i quali su questa base possono essere divisi in tre categorie. In primo luogo quelli che forniscono aiuto in situazioni di crisi – come ad esempio separati e divorziati, genitori soli – “che rispondono al bisogno d’informazione su come riuscire a gestire nuovi problemi e danno sostegno e aiuto nelle fasi di necessità”. La seconda categoria riguarda le realtà che “hanno a che fare con persone alle prese con una condizione esistenziale di stigmatizzazione di tipo permanente: gruppi per persone affette da difetti fisici, handicap…”. Questi gruppi, spiega Catina, aiutano a “sopportare” lo stigma o migliorare l’immagine di se stessi. Infine, ci sono gruppi per persone “intrappolate” in una dipendenza: gruppi per alcolisti, per tossicodipendenti, per giocatori d’azzardo…Tali gruppi cercano di aiutare i partecipanti a riacquistare il controllo sul proprio stile di vita.
Un elemento importante all’interno di ogni gruppo è il cosiddetto “facilitatore”, che ha un ruolo diverso dagli altri partecipanti, ma è sullo stesso piano. “Il suo compito – spiega Gipponi – è far circolare la parola”. Insomma al facilitatore (detto anche operatore, helper, catalizzatore, servitore) tocca accogliere i nuovi partecipanti, tutelare le dinamiche di gruppo, essere d’aiuto nei momenti critici. “E’ un regista che sta dietro le quinte – dice Catina – un promotore di empowerment”. Sulfatto che debba necessariamente condividere la condizione problematica dei partecipanti al gruppo non tutti i teorici dell’auto mutuo aiuto sono d’accordo. “La cosa importante è che il gruppo non si sostituisca alle terapie: non si parla di farmaci e anche se ci fosse un medico, o se il facilitatore fosse un terapeuta, quella non è la sede per esprimersi professionalmente, ma come persona – spiega Gipponi -. D’altra parte, chi tra i partecipanti segue una cura, chi è in terapia, continua a farla. Il gruppo è un sostegno diverso, non alternativo.
Una delle resistenze principali ad aderire ad un gruppo è spesso la paura di raccontare ad altri cose di cui non si è parlato mai neanche con l’amica più cara o con il proprio partner. “Per questo motivo la fiducia e la riservatezza sono caratteristiche dell’auto mutuo aiuto: quello che si dice in gruppo, lì resta, non esce fuori per nessun motivo”, chiarisce Alberto Gipponi, che ha fatto parte dei gruppi di separati e divorziati. Inoltre, aggiunge, “una certa resistenza viene opposta anche al fatto che il gruppo c’è 24 ore su 24. Qualcuno all’inizio ha il terrore che l’altro lo chiami sempre, ma poi scopre che è un qualcosa di diverso, perché si diventa un microcosmo di amici, dove si crea fiducia, e può capitarti, com’è successo a me, di passare nottate al telefono con persone che avevano bisogno proprio in quel momento”.
In media un incontro dura un’ora e mezza, con cadenze diverse, a seconda delle tematiche trattate e dalla fase di vita del gruppo.
 
Non solo problemi
 
Oggi tra le problematiche in crescita si registrano i disturbi legati alla sfera dell’ansia, della paura e la dipendenza dal gioco d’azzardo. Ma è anche vero che il bisogno di trovare qualcuno con cui parlare, senza maschere, è sempre più diffuso e quindi la scelta di partecipare ad un gruppo non necessariamente è legata ad una condizione problematica particolare. Insomma, il gruppo è in sé uno strumento “terapeutico”. “Chi partecipa si rende conto che prendersi un’ora e mezza tutta per sé ogni quindici giorni non è poca cosa. Il gruppo serve anche a chiarirsi le idee sul cammino da fare in presenza di qualche problema, se approfondire con un terapeuta qualche aspetto venuto fuori durante gli incontri, o anche a migliorare le relazioni affettive, familiari” dicono Stefania Rossi e Paola Montanari, le fondatrici dell’associazione Eudia (www.eudia.it), centro di ascolto e consulenza di Roma. Tra le varie attività proposte da questa associazione ci sono i gruppi di auto mutuo aiuto, non legati a tematiche particolari, ma finalizzati ad essere spazi dove poter comunicare con se stessi anche attraverso il racconto con l’altro, non sentendosi soli in un processo di cambiamento. “Spesso la gente viene al gruppo per rispondere ad un problema di solitudine” dice Paola. Non si tratta di persone che vivono da sole, ma piuttosto che si sentono sole in mezzo a tanti. “I problemi che tornano con più frequenza sono le relazioni familiari, non quelle lavorative. Si parla quasi sempre dei genitori, del partner, dei figli“, aggiunge Stefania. Il gruppo ti dà allora l’occasione di essere ascoltato e di ascoltare, c’è un doppio ruolo. Ciascuno sceglie tempi e modi, per parlare o per tacere, senza che nessuno dica quello che si deve fare o possa giudicare. Ognuno, insomma, è libero di essere se stesso.
 
 
Tratto dal “Messaggero di Sant’Antonio” - novembre 2010.