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Altre testimonianze

 

“L’inferno dei viventi non è quello che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Italo Calvino)
 
STORIA della MIA ANORESSIA ovvero VIAGGIO VERSO LA SOPRAVVIVENZA
 
Bruciature di sigarette sulle gambe, cicatrici di tagli fatti con rasoio o taglierino.
Questi solo alcuni dei segni che mi sono rimasti addosso di un periodo della mia vita caratterizzato da una malattia che ancora faccio fatica a chiamare con il suo nome.
Il mio corpo ora, a parte piccoli cerchi e righe sulla pelle, sta bene. O per meglio dire, ha smesso di squarciare il silenzio con il suo grido sordo.
Anni fa, però, delusa, impaurita e straziata dalle risa di scherno delle persone, mi sono avviata in una ribellione verso quella società nella quale sembrava non ci fosse posto per me.
 
I digiuni…le dita in gola per vomitare, le ossa del mio scheletro che a poco a poco diventavano sempre più visibili…Queste le gomitate che mi hanno permesso di farmi strada in un mondo troppo crudele per chi, come me, vive di sentimenti.
 
Una storia d’amore finita, un’amica che non capisce le mie lacrime: solitaria ho cominciato a non sentire più la fame. Accalappiata dal vuoto ho cominciato a vivere di esso. Ed inizia…
 
4settembre1998
“Mi faccio schifo e non ho voglia di uscire. Mi sono tagliata i capelli e mi manca il periodo in cui li avevo lunghi. Fuori piove e a me viene da vomitare. Oggi peso 46 Kg e tra dieci giorni ricomincia la scuola…”
Queste le uniche parole che avevo a disposizione per descrivere il male che mi dilaniava: “Mi faccio schifo e non ho voglia di uscire…”. Ma dentro di me, la morte.
 
Morte che chissà da quanto tempo stava bussando alla porta della mia anima. Ripercorrendo gli anni passati della mia breve vita, trovo solo alcuni ricordi da poter collegare alla mia distruzione interiore.
Affiora nei miei pensieri un episodio risalente alle elementari, una presa in giro. Per la mia magrezza. Sara che mi dice: “Dio mio! Copriti le braccia per piacere!” Io: “Perché?” “Sono troppo magre! Mi fanno impressione!”
Indossavo una maglietta rosa, quasi fucsia, con disegnati dei pesci. Al momento, in apparenza, tali battute non hanno suscitato in me alcuna reazione; oggi però, le medesime parole, le ritrovo nei miei ricordi.
Andando a scavare ancora nella scatola delle mie memorie, trovo anche un enorme macigno. Una pietra gigante sulla quale sono scritte moltissime parole, tutte uguali. “Hai un sacco di brufoli” “Usa topexan” “Hai un sacco di brufoli” “Usa topexan”… Impotente di fronte alla situazione che con diversi dermatologi tentavo di risolvere, mi sono trovata a dover affrontare un disagio reso insostenibile dalla cattiveria dei miei compagni. Le ore passate insieme a loro venivano cancellate da poche e feroci parole che nella mia vita di ogni giorno assumevano la sembianza di mostro. La mattina, prima di andare a scuola, la paura di sentirmi criticata e accusata per una cosa al di fuori del mio controllo e della mia volontà. Nonostante il parere di diversi dermatologi, la mia pelle vomitava brufoli in continuazione. Io, oltre ad un trucco precoce, nulla potevo per far si che gli altri evidenziassero di me diverse caratteristiche. Anche se in quel periodo io ero abbastanza trascinatrice all’interno della mia cerchia di amici, le loro parole, incentrate su un aspetto insignificante/una banalità rispetto al valore della mia persona, mi hanno sminuita…fino all’osso…
Ancora, nella mia mente, trova spazio il ricordo della malattia di mamma.
Ero in seconda media quando tra le pareti di casa hanno iniziato a materializzarsi parole attorno al tumore al seno che l’aveva attaccata. Ogni giorno paura, apprensione e instabilità circondavano me e la mia famiglia. Il terrore di un male sconosciuto ed imprevedibile mi ha portata ad ignorare. Chiusi gli occhi davanti ad una realtà troppo dolorosa da sostenere, continuavo a riversare tutte le mie energie nella vita sociale, negando tutto quanto mi stava travolgendo in casa.
Poi, da un momento all’altro, la situazione sembra volgere in positivo.
Il tumore sconfitto, ma nell’ombra la depressione avanza espandendosi sopra il dolore tracciato dal cancro. 
Papà che chiede a mia sorella e a me di prenderci cura della mamma una volta fuori dall’ospedale.
Detto fatto. Da tredicenne coscienziosa cerco di fare del mio meglio. Nelle poche ore che trascorro a casa dopo lunghi momenti in spensierata compagnia, mi immergo in compiti troppo grandi da sostenere. Ligia al mio dovere, cerco di non destare preoccupazioni inutili, e do il massimo per regalare soddisfazioni anche nelle piccole cose. Poco per volta mi assumo il ruolo da donna di famiglia aiutando nelle faccende di casa, e obbedendo ad ogni richiesta.
 
Solitaria nella mia camera, accucciata in un angolo tra muro ed armadio, fuggivo dalla realtà viaggiando nelle pagine di numerosi libri…
 
Dall’esterno attacchi di ogni sorta hanno continuato il loro percorso. Io, logorata e sgualcita. Dentro e fuori. Sempre più fragile mi sono aggrappata a chi non ha saputo capirmi ed amarmi per quella che ero. Io ora odiata da me stessa e non accettata dagli altri. In ogni dove conferma di un mondo distratto nel quale io non sapevo camminare.
Bisognosa di un qualsivoglia appoggio, ho accolto accanto a me un ragazzo crudele verso il mondo come coloro che mi stavano uccidendo con le loro lingue taglienti. Contro tutti i miei principi di accettazione verso le diversità, Dario mostrava invece apertamente la sua posizione razzista.
Io tutt’oggi mi stupisco al solo pensare di averlo voluto vicino a me.
La durezza delle sue posizioni intolleranti e la mia fragilità diffusa, mi hanno vista succube nello scegliere di allontanarmi da care persone che in realtà mi davano il giusto valore senza chiedere nulla in cambio.
Incapace di azione.
Solo ora penso che, tanta cattiveria attorno a me, non abbia fatto altro che indebolirmi.
Priva di forze mentali e fisiche.
Frustrata…
 
20febbraio2001
“non riesco a capire perché mi voglio così male e perché da così tanto tempo.”
 
…scrivendo sul mio diario cerco di capire…
 
31maggio2001
“Non so cosa ho da dire, ma mi sento insoddisfatta. Ho bisogno di sfogarmi anche se non ho parole da pronunciare. MI SENTO COSTRUITA, MI SENTO LEGATA”
 
Cerco di guardarmi dentro, di capire cosa sta dicendo il mio corpo scheletrico. Il mondo però mi acceca…
 
12agosto2001
“CAZZO 42,5. DEVO FARE - 3,5
devo smettere di mangiare”
 
Incerta propendo per cercare di cavarmela con le mie sole forze. Ma purtroppo non so fare altro che riversarle contro di me.
 
20ottobre2001
“FINE di una storia.
E DA ADESSO FINE DEL FARSI MALE
E VIA AL CONTROLLO.
A pranzo BRODO+MELA
A CENA brodo+mela”
 
“LA FAME NON ESISTE
LA FAME NON E’ REALTA’
MANGIARE E’ UNA PERDITA DI TEMPO. SE HAI FAME FAI DUE PASSI. FAI 50 FLESSIONI. NON MANGIARE. POI STAI MALE E TI TRASCURI. 38. 38, PRIMA 40. POI 38: NON CI VUOLE MOLTO. CE LA DEVI FARE. SI, DEVI FARCELA E CE LA FARAI.”
 
21ottobre2001
“MI ODIO DA MORIRE. E CI PENSO QUANDO MANGIO, CHE SE POTESSI MI STRAPPEREI LO STOMACO. E OGGI NON MI SONO CONTROLLATA. SONO PROPRIO UNA STUPIDA FALLITA CHE NON SA IMPORSI. E SI FA COMANDARE CONTRO LA SUA VOLONTA’. E IO DAVVERO VORREI ESSERE IN GRADO DI LASCIARMI MORIRE DI FAME. DOPO TUTTO CHE SENSO HA VIVERE? STAR MALE E BASTA. E PREOCCUPARSI DI TUTTO. MA DI TUTTO QUELLO CHE TI VIENE IMPOSTO E BASTA, PERCHE’ DOPO E’PROPRIO POCO IL TEMPO CHE TI RIMANE PER FARE LE COSE CHE TI PIACCIONO. E POI LA GENTE E’ ODIOSA E NON TI RISPETTA E C’E’ TANTO VUOTO ATTORNO CHE FA SCHIFO. E IL BELLO E’ CHE NON SI RIESCE A NON PENSARE ALLA MERDA CHE TI IMPONGONO, PERCHE’ E’ L’UNICA COSA CHE HAI E TE LA DEVI FAR ANDARE BENE. E TI IMPEGNI PERCHE’ SOLO DA QUESTA PUOI TROVARE SODDISFAZIONI ANCHE SE IN REALTA’ NON TE NE FREGA UN CAZZO. E VORREI RIBELLARMI A TUTTA QUESTA IMMONDIZIA, MA TUTTO IL MONDO VIVE IN QUESTA, E DI QUESTA. MA CHI CE LO FA FARE DI VIVERE? NESSUNO. NESSUNO CI OBBLIGA A VIVERE E FORSE TUTTO SAREBBE PIU’ BELLO SE CI RINUNCIASSI. SAREBBE TUTTO PIU’ FACILE. SAREBBE IL NULLA. NULLA DI QUESTO CORPOREO DI MERDA. NULLA DI TUTTO QUESTO MATERIALE.”
 
Il mio corpo è il solo che sa parlare veramente del mio dolore, ed io lo ascolto…
A poco a poco mi trasformo in ciò che lui mi dice. Io e la morte, ora una sola cosa…
 
21aprile2002
“Questa mattina pesavo poco! Vorrei gridarlo al mondo intero: sono tanto felice! Più o meno 37,5.”
 
26aprile2002
“…ultimamente sento le ossa del mio bacino: sono stupende!”
 
4maggio2002
“Oggi è sabato e mi sono pesata: 37. E cazzo! Sono contenta. Sono contenta e leggera.”
 
Nel corso del tempo, il mio dimagrire ha creato attorno a me uno spazio privato…intoccabile da ogni male…
La magrezza mi protegge e, tenendomi lontana dalle forme di vita comuni, mi rende invulnerabile. Critiche, osservazioni malefiche e parole di accusa, spariscono dalle bocche delle persone che mi circondano. Il mio corpo minuto fa ammutolire. Grazie a Dio. Pace per le mie orecchie e per il mio cuore non ancora cicatrizzato dalle ferite del passato. Apprensione, accoglienza, delicatezza e curiosità iniziano a prendere forma attorno a me. Finalmente ho scoperto come catturare il cuore degli altri, ma purtroppo così facendo, sto allo stesso tempo catturando me stessa. La lastra di cristallo che mi separa dalla realtà funge da lente, per chi mi vede, di quello che è il mio sentire, ma non manca di essere fortemente un impedimento a quella che è l’emanazione del mio calore. Congelata dal mio male, mi riduco per la maggiore parte del tempo a soffrire il freddo che mi isola da tutto. L’attenzione a forme corporee sempre troppo abbondanti, mi impedisce di coltivare i contatti che sono riuscita ad aprirmi con tanti digiuni. L’attenzione a parlare bene almeno attraverso il corpo, mi costringe a continue restrizioni alimentari e a continue attività per bruciare ogni minima forma di energia introdotta. La vita sociale, negandomi la possibilità di non mangiare in santa pace o di camminare fino allo sfinimento, non mi appoggia nel comunicare me stessa.
Sempre più sola e ossessionata dall’idea di essere troppo grassa.
 
Solo a sprazzi facevo capolino nell’esistenza con la mia curiosità. Il mondo che prima di allora mi aveva sbattuto la porta in faccia, lentamente comincia a guardarmi. Io, finalmente accolta da chi si sforza di capire, timorosa e impaurita, cerco di riemergere…
Chissà com’è la vita là, fuori dal mio scheletro…
 
Nel tempo, considero l’idea che il liceo stia per giungere alla fine, e questo, mi dà il coraggio e la speranza per poter ricominciare a vivere. Tuttavia l’ombra della non accettazione degli altri mi pietrifica…
Dalle pagine dei miei diari leggo la gioia che provavo ogni volta che perdevo peso, l’angoscia data invece dall’aver ceduto alla fame, anche solo mangiando cinque pomodorini. Corse attorno al tavolo della sala per aver bevuto un cucchiaio di brodo in più, fierezza nel sentire le mie ossa. La sera, rannicchiata nel mio letto in posizione fetale su un fianco, godevo nel dolore che le ginocchia appuntite, una contro l’altra, mi davano. In casa, la tensione data dal mio essere fantasma in decomposizione, la percepivo pur lasciandola al di fuori dei miei interessi. Parole titubanti da ascoltare cercavano di illuminare le mie membra assenti. Io sperduta nell’immensa voglia di dimagrire e nel desiderio costante di riuscire a non nutrirmi.
Poi un giorno, la proposta dei miei genitori di un colloquio al Centro Disturbi Alimentari di San Vito.
E io, con il mio silenzio, ho accettato…
Dentro di me a volte riuscivo percepire il dolore. In ben pochi momenti di lucidità, lo sentivo che calpestava la mia vita…Camminando sopra di me, mi stava schiacciando con le sue pretese incoerenti all’esistenza. Tumulto di percezioni e confusione nel capire. Vita e morte erano al mio interno. Le loro urla strazianti mi assordavano costantemente rendendomi incapace di ascoltare. Guardando le anime del mondo, vedevo la diversità del mio essere. Affascinata ed infastidita da questo, realizzavo che il solo osservare tali discrepanze era segno importante di qualcosa… Forse angosciata, forse stufa, forse curiosa, forse speranzosa…mi ritrovo a raccontare di me in una stanza di ospedale adibita ad ufficio. Forse per accontentare i miei genitori, forse per dargli un po’ di sollievo…
In quello stesso ospedale, mi sarei recata per i successivi mesi anche con cadenza di due volte la settimana.
Al centro, partecipo ad ogni attività mi venga proposta, ma dentro di me un desiderio totalmente opposto a quanto mi venga offerto. Appuntamenti nei quali si cerca di fare emergere le mie risorse, non impediscono di rafforzare la mia necessaria autodistruzione.
In gruppi informativi si parla dei pericoli del vomito auto indotto, dell’iperattività, di un peso eccessivamente basso. Io però penso di essere grassa e di dover eliminare qualsiasi cosa entri nel mio interno. Serrati digiuni, decine di pastiglie di lassativi, conati rigurgitanti la bile e ginnastica ad oltranza sono indispensabili perché io possa raggiungere il mio obiettivo. In gruppi motivazionali si parla di vantaggi e svantaggi della malattia. Io per niente convinta di essere malata. Le compagne di sventura che con me partecipano alle conversazioni, snocciolano una serie di ostacoli portati dalla sofferenza. Io in solitudine, ho la testa piena di gratificazioni legate alla più magra magrezza da me ambita. La dietista cerca di farmi avere un’alimentazione quanto meno regolare, senza eccessi in restrizioni od abbondanze. Io voglio smettere di mangiare. La psicologa tenta di mettermi in contatto con me stessa, ma sono sorda a quanto non sia il desiderio di perdere peso.
Le mie emozioni e i miei pensieri rapiti dall’espressione del mio corpo: ogni sforzo di chi cerca di aiutarmi trovava in me poco spazio.
Nella mia mente, sempre e solo la voglia di dimagrire.
 
24maggio2002
“Laura tu come ti senti?
…Laura non si sente…”
 
“Ho tantissima paura…la mia mente continua ad ospitare due voci contrastanti: una che mi dice di sforzarmi a mangiare il minestrone per evitare il ricovero ospedaliero, e l’altra che mi vuole sempre più magra. (…) SVUOTATA NELLO STOMACO E NELLA MENTE.”
 
Il mio peso continua a scendere ed io, per avere la certezza di chiudere definitivamente con la scuola e soprattutto con i ricordi ad essa legati, accetto di ricorrere all’alimentazione meccanica.
Il responsabile del centro di San Vito e la nutrizionista si mostrano sempre più preoccupati e non è da meno il primario della clinica di Vicenza con il quale sono stata messa in contatto.
Da fine maggio al 30giugno2002 sarò violentata da un tubo che entrando dal naso e scendendo nello stomaco mi forniva le energie necessarie a sostenere i tanto odiatiamati esami di maturità.
Nonostante, infatti, io avessi accettato la proposta di chi si stava finalmente interessando a me, non vedevo di buon grado l’aumento di peso.
 
Se il mio corpo si fosse modificato, come avrei potuto parlare di me con parole inesistenti?
 
Ogni bolo che entrava nel mio stomaco: il mio stupratore. Ogni grammo di carne attorno le mie ossa: la sua mano che mi tappa la bocca per non urlare.
 
Nel frattempo, l’incontro con Elisa…
Fragile, triste e con gli occhi di un azzurro opaco, subito ho saputo sentirla…
Lei, incapace come me di parlare, camminava per le strade di Pordenone con la sua folta chioma bionda e trascinandosi dietro un corpicino che sembrava potersi spezzare da un momento all’altro.
Ho voluto incontrarla, conoscerla.
Ho cercato conforto dandole il mio cuore. Ho cercato il mio cuore ricevendo il suo conforto.
Giorno dopo giorno, i nostri pensieri hanno ricominciato ad esprimersi, come fossero quelli di un neonato che prova a pronunciare le sue prime parole.
Lei sola sapeva accogliere la mia flebile voce, e tuttavia, riusciva a sentire chiaramente le mie poche, deboli parole. Il desiderio di cambiamento, solo con lei trovava sfogo verbale. Le ho confessato le mie paure, il mio dilaniante dolore, le mie perplessità e quanto di più devastante trovava spazio dentro di me. Da parte sua tanto silenzio, e occhi che lucidi parlavano di compassione. Con coraggio e soprattutto desiderio di aiutarla, mi sono prodigata in una lotta al male per farle vedere che sarebbe stato possibile un cambiamento. Convincendomi a mia volta delle parole che con lei pronunciavo, dentro di me creavo la forza per provare.
Incuriosita dall’idea di una esistenza diversa e sempre più consapevole di voler provare a rivivere, ho iniziato la battaglia più dura ed estenuante che mai avrei potuto immaginare.
Due giorni dopo gli esami di maturità, il 1°luglio2002, sono stata ricoverata a Villa Margherita, a Vicenza.
Da lì, a spada tratta verso la salvezza…paradisiaca ed infernale…
 
Al mio ingresso, oltre alle valige, ho portato me stessa. Spogliata della maschera del lungo carnevale che fino a quel momento aveva dettato la mia vita, mi ritrovo Laura priva di identità.
Penso…
La mia identità…
Chissà dov’era finita…Frasi e parole affollano la mia mente.
Io, il mondo. Mondo che non accetta quello che sono. Mondo che non accoglie la mia persona…perché?…io che mi travesto…Io che cerco uno spiraglio in mezzo agli altri. Io che non riesco a recitare la parte datami dalla società.
Voglio recitare solo me stessa. Me STESSA. Nel mondo.
Eccomi! Sono pronta.
 
h.9.00 in segreteria a compilare i moduli che regolano l’inizio del mio ricovero in una clinica che si occupa di disturbi del comportamento alimentare. Il mio però non è un disturbo alimentare…è un modo di mostrarmi…un modo per parlare con persone incoerenti ed inconsistenti di sentimenti…
 
…ed io soffro l’indifferenza delle persone…
Tuttavia, nel nuovo mondo nel quale scelgo con la mia volontà di provare a vivere, sembra che l’origine del mio male non esista…
In clinica ritrovo un piccolo paradiso terrestre. Anime vaganti parlano con i loro occhi. Parlano con il loro cuore, ed io finalmente mi sento riconosciuta. La mia sofferenza trova comprensione e sostegno da chi condivide la mia lingua. Ragazze bellissime cercano, con l’aiuto del personale del reparto, il significato dei loro gesti.
Gruppi motivazionali, relazionali, colloqui con psicologa, psichiatra, infermieri e responsabili   aiutano noi, anime alla deriva a ritrovare la nostra strada.
Tredici camere e una sala da pranzo compongono l’interno del reparto assegnato alla cura di persone con disturbi del comportamento alimentare. Adiacente a questo e sotto, altri due reparti di psichiatria, il tutto circondato da un bellissimo parco con prati, alberi, fiori, stradine e panchine nei quali era possibile immergersi nei ritagli di tempo non strutturato con attività inerenti al percorso di cura. I colli Berici mi accoglievano quando al mattino aprivo la finestra della camera. Vicenza, giorno per giorno, si guadagnava uno spazio nel mio cuore.
Emozioni fortissime mi investono e per l’ennesima volta non posseggo parole per descrivere ciò che ho dentro.
Ho conosciuto persone speciali che mi hanno semplicemente ascoltato, capito, confortato, cercato il mio ascolto, la mia comprensione, il mio conforto.
Sigarette fumate e chiacchierate scandivano i miei minuti, le mie ore. Parole sincere fluttuavano da cuore a cuore, da anima ad anima. Lacrime e sorrisi, serenità e agitazione, gioie, dolori, delusioni, paure univano me alle ragazze che, provenienti da tutta Italia, come me tentavano di riappropriarsi della propria vita.
Già dal primo giorno sono stata affidata ad una dietista con la quale ho impostato la mia alimentazione giornaliera. Con enormi sforzi e sofferenze sono riuscita a seguirla, ma la paura era paralizzante. La tachicardia al momento dei pasti rendeva difficile ogni movimento.
L’accettazione e la condivisione dei miei sentimenti da parte delle mie compagne di sventura, mi hanno incoraggiata, giorno per giorno a continuare la mia lotta.
 
5luglio2002
“Dio mio sono spaventata terribilmente. Il formaggio era buonissimo e mi dà tanto fastidio ammetterlo. Odio ammetterlo e odio che mi sia piaciuto. Mi sono sforzata di mangiarne quasi più di metà e mi sono sentita in colpa. Perché ho ascoltato le mie voglie, il mio gusto.”
 
La confusione continuava ad imperare nella mia mente.
 
7luglio2002
“Mmm… devo dire che le mie ossa, cazzo, mi piacciono troppo! Quelle del bacino non riesco a capire se sono tornate belle come prima…un pochino forse si. Ma comunque sono quelle delle spalle le più fantastiche! Soprattutto quelle della spalla sinistra!E quelle del torace: mi si vedono tutte le costole e sono proprio stupende!”
 
Le mie ossa, sempre e solo loro le parole del mio male…
 
8luglio2002
“Credo che il cuore mi batta forte: lo sento che pulsa nella cassa toracica. Non so, credo di avere paura. Paura che mi dicano non so, tipo di sforzarmi a mangiare (…), ma io, cazzo, non ci riesco! Ho paura (…)! Se mi dicono che sono rimasta stabile o addirittura che sono aumentata mi viene un infarto!”
 
La consapevolezza di dover aumentare di peso mi stordisce, ma cerco di accettarla:
 
“L’aumento di peso è il primo passo da muovere sulla via della guarigione”
 
“L’aumento di peso è solo l’inizio di una nuova vita. Tu prova a percorrerla, potrai sempre tornare indietro.”
 
h. 8.00 colazione, h. 10.00 spuntino, h. 12.00 pranzo, h. 15.00 spuntino, h. 18.00 cena, h. 20.30 spuntino.
 
Le giornata, così scandite, variavano a seconda degli appuntamenti con la psicologa, la dietista, i gruppi e le visite mediche.
Ricordo con gioia le ore successive la colazione, alla mattina. Anche il rimpianto mi pervade… Era per me il momento più bello della giornata. Borsa sulla spalla, bottiglia d’acqua in braccio, andavo alla macchinetta del caffé: 50 centesimi, senza zucchero, caffè lungo. Poi mi sedevo sui gradini fuori dalla chiesetta e il bar della casa di cura, accendevo una sigaretta, bevevo il caffè e assaporavo la vita.
Attorno a me, quelle che tuttora sono rimaste nel mio cuore come le mie migliori amiche. Parole di sconforto, di gioia ma soprattutto di condivisione, riempivano il mio cuore, e le mie ferite magicamente cicatrizzavano.
 
Seguendo i consigli di chi ha accettato di prendersi cura di me, affronto il cibo con maggiore serenità. Ho voglia di riscoprirmi e di esplorare il mondo. La mia mente sente il bisogno di accogliere pensieri diversi dal conteggio di calorie e di distogliere l’attenzione dalla mia fisicità.
 
L’attenzione e la curiosità delle persone incontrate in clinica, mi induce a riversare verso me stessa le medesime premure.
Il confronto con chi vive il mio medesimo inferno mi permette di osservami come una parte fondamentale del mondo. Il poter dare e ricevere in eguale misura, mi offre la possibilità di acquisire nuovamente un po’ di consistenza, e di iniziare a comprendere la ricchezza che possiedo dentro di me. La costante svalutazione verso la mia essenza e la sfiducia verso tutto quanto fosse di mia appartenenza a poco a poco si dissolvono. La sensazione di essere una nullità, di non essere all’altezza, di essere indegna, di non essere abbastanza, si trasforma. I miei sorrisi e le mie lacrime si mescolano con coerenza a sorrisi e lacrime di chi mi è accanto, creando una pozione magica capace di guarire…
Tra le mura che circondano Villa Margherita, però, c’è per me anche un tesoro…
La dolcezza e la sensibilità che Claudio porge nei miei confronti, mi sprona ancora di più a riconquistare il mio cuore. Claudio: angelo dal cuore infranto, anche lui in cerca dei minuscoli pezzetti della sua emozionalità, dispersi nel mondo dalla bufera della superficialità…
Tra una sigaretta e l’altra, in attesa di una visita medica, mi ha detto un giorno: “Lo sa signorina che lei ha dei bellissimi occhi?”
Io, fino a quel momento solo scheletro, mi accorgo di avere anche due occhi. Per di più bellissimi…Con una semplice frase Claudio ha bussato al mio cuore. Io da parte mia, mi propongo finalmente come padrona di casa delle mie emozioni. E decido di aprirgli.
I miei incubi relativi al mangiare e all’aumento di peso si diradano lasciando spazio ai sogni…
 
29luglio2002
“Caro diario ho un bel po’ di confusione in testa e il cuore che mi batte fortissimo quando sto con Claudio e quando gli penso. Per ora passiamo solo degli splendidi momenti insieme. A parlare, fumare, ridere, scherzare e io sto davvero tanto bene.”
 
I desideri di una vita mi pervadono e illuminano le mie giornate. Il mio amore per Claudio mi rende una persona con progetti e previsioni per il futuro; il mio percorso terapeutico, sempre in salita, mi pare una scalata al termine della quale vedo però che potrò riposarmi accanto chi mi accetta incondizionatamente. Sulla vetta, nessuna maschera e nessun vestito di carnevale. Io e Claudio a Villa Margherita come Adamo ed Eva…
Quando l’ho incontrato, però, mai avrei creduto che fuori da quel giardino dell’Eden ci fossero tante mele avvelenate di cianuro…
Con il passare dei giorni e dei mesi la mia alimentazione acquisiva sembianze umane, e il mio corpo di conseguenza riconquistava la sua femminilità.
Il mio percorso di cura è proseguito quindi in day hospital.
Trasferite tutte le mie cose dalla stanza del reparto ad un appartamento nel centro di Vicenza, ho iniziato a sperimentare l’indipendenza e la responsabilità. La clinica, in accordo con una cooperativa, aveva a disposizione due appartamenti nei quali venivano accolte le ragazze che avevano acquisito adeguate capacità relazionali e autonomia nella gestione del mangiare. Ad una degenza scandita dall’accudimento, si sostituisce un ibrido di vita reale. Colazione e spuntino serale anziché consumati in reparto saranno lasciati al nostro sentire, così come il dopo cena ed i fine settimana. Alla mattina: colazione con le proprie compagne d’appartamento e poi subito alla stazione delle corriere per raggiungere i colli vicentini.   
La parola “indipendenza” si affaccia nel mio vocabolario con titubanza, ed io con prepotenza me ne impossesso. Travolta da ondate di sentimenti per me sconosciuti, mi ritrovo incapace nella loro gestione. Il mio corpo che non è più mio alleato nelle discussioni del quotidiano, viene fagocitato dal tumulto che mi investe. Folate di percezioni e passioni mi urtano violentemente graffiandomi le braccia, le gambe. Le mie emozioni mi travolgono come tir tracciando dove possono tagli di coltelli, taglierini e graffi di chiavi. Bruciature e scottature di fantasmi che non riesco ad interpretare marchiano la pelle delle mie caviglie, dei miei avambracci, delle mie cosce. Il disturbo alimentare è quasi scomparso, ma il suo perché più profondo ancora aleggia attorno a me…
Forse stufa del controllo che gli altri esercitano su di me, tento di spiccare il volo e propongo le mie dimissioni. Ho bisogno di esprimermi. Ho bisogno di essere e di capire. Un ritorno a casa è l’unica cosa che può permettermi di esplorare me stessa nell’anima.
Ma il percorso là fuori è così oscuro…
Nuovamente sballottata dalla vita che tanti disagi mi aveva creato, mi ritrovo all’interno di un tornado.
 
6luglio2003
“Vomito il rifiuto. Perchè tanta amarezza?
Il vuoto mi riempie
e io non voglio sentirlo.
Rido, parlo tra nuvole di fumo,
consiglio, ascolto.
Dentro di me tutto tace.
E’ la morte che mi possiede.
Provo a scacciarla, ma senza troppa forza.
Ho un motivo per stare male: la morte.
Nient’altro per la testa.
Chiunque voglia provi a farmi
battere il cuore.
Ancora una volta.
Io non ci sarò.
Sarò fuggita fluttuando
nel denso, umido, scuro
inferno paradisiaco che ho chiamato a me.”
 
La mia incapacità di stare nel mondo mi sbarra ogni porta. Le paure e le incomprensioni, ma soprattutto la sordità delle persone continuano a trafiggermi di giorno in giorno. La società nella quale tento di inserirmi cercando un lavoro, va dritta per la sua strada lasciando lungo i cigli cadaveri putrescenti di esseri umani che semplicemente muoiono di noncuranza. I sentimenti non appartengono a questo cosmo…Ed io boccheggio accasciata in un angolo.
La bufera di stimoli che mi travolge, muove per me anima e corpo. Io, impotente di reazioni, mi ritrovo in un mondo fatto di sesso e di fumo.
 
13luglio2003
“PARANOIE NOTTURNE. DELIRANTI.
Paranoie per aver mangiato una mela. Una mela buttata giù con la speranza di allontanarla dal mio corpo domani.
Mongolfiera che fluttua come il fumo della sigaretta che offusca l’inchiostro su questo foglio. (…) Io. donna crescente, non riesco a tenere i miei sentimenti. Volano da soli senza problemi. Le loro ali non sono come quelle di Icaro. Arrivati al sole, si rinvigoriscono,e si fermano davanti a lui. A guardarlo mentre è distratto. Per tanto tempo sono rimasti a terra, seppelliti in essa. Ora, urlano libertà, della quale però si sentono vittime. Donna incosciente che di notte non riesce a dormire. Nel cervello tanti pensieri che vagano senza scopo. In fondo sono inutili. A cosa servirà mai pensare? Forse è masochismo. Forse è pessimismo appositamente cercato sperando che non trovi conferma. Occhi socchiusi per la stanchezza della giornata. Voglia di letto che porta altri pensieri. Pensieri, pensieri, pensieri, sentimenti infondati.
 
27luglio2003
“Cuore di pietra
dalle cui vene sgorga
il suo sangue.
Uno schianto e la morte.
Sangue che giace solitario
in una pozza.
Ed è lì che prende
di nuovo vita il
sasso. Nel suo esploso dolore.”
 
Nel cantuccio che sono riuscita a ritagliarmi al ritorno nella città che tanto mi aveva disprezzata, accolgo ogni sorta di stimoli. Ho bisogno di riconoscimento, e lo cerco mettendo da parte anche la mia dignità. Ho fortemente bisogno di sguardi ammirati verso quella che è la mia persona, non il mio corpo. Abbraccio la conoscenza di nuova gente, chiunque essa sia, e mi ritrovo attorniata da nuove falsità e leggerezze. Non avendo altri appigli, accetto. Accetto e soffro in silenzio annullando me stessa con tutto ciò che posso. Fagocitata ancora una volta dal nulla, in esso scompaio, così come quelli che sono i miei sentimenti più puri. La mia nuova commedia mi riserva risvolti dolorosi.
Il mio amore e i miei valori cancellati…dissolti…
Il mio amore e i miei valori svaniti chissà dove…ormai perduti…
 
17agosto2003
“NON HO COSCIENZA DI ME STESSA. Posso espanderla.”    
“IO ORA SONO L’ESSENZA DEI MIEI FANTASMI”
 
1SETTEMBRA2003
“VOGLIO STARE MALE
LOGORARMI LENTAMENTE
SENZA ACCORGERMENE.
MORIRE DIVENTANDO INVISIBILE.
SENZA PESARE, A NESSUNO.
AUTODISTRUZIONE.
Ogni giorno una piccola cellula io la uccido.
SOGNO. SCHELETRO PERFETTO,
FORMA PERFETTA DIFFICILE DA RAGGIUNGERE.
LEGGEREZZA. VOLARE.
SFIORARE I PAVIMENTI.
GODERE DEL MALE e degli
SCRICCHIOLII del mio CORPO.
SPERANZE…che non
smetterò di avere.”
 
“VOGLIA DI MORIRE.
voglia di guarire.
VOGLIA DI IGNORARE.
voglia di amare.
VOGLIA DI NULLA.
voglia di qualcosa.
VOGLIA DI SOLITUDINE.
voglia di compagnia.
VOGLIA DI RIMANERE FUORI DAL MONDO.
…nel mondo ci sono anch’io.
(…)Voglia di sopravvivere e basta.”
 
 
Senza accorgermene, delineo quella che è la mia vita attuale…
Io, ancora burattino del dolore, cammino su una strada che i miei fili mi hanno costruito…prigioniera…incatenata.
Solo un piccolo spiraglio, mi permette di intrufolarmi nell’idea di iniziare una vita autonoma. Slegata dalla dipendenza dei miei genitori, cerco più che posso di recidere i tanti fili che mi imprigionano.
 
Iniziato un lavoro gratificante, trovo la possibilità di trasferirmi altrove…e di entrare in una nuova realtà…un nuovo copione…
Punto e a capo.
Allora…sceneggiatura? Attori?
Intanto si definisce il setting.
 
Provo a guardare quello che mi circonda per l’ennesima volta. E’ estenuante il lavoro che faccio giorno per giorno cercando di capire dove diavolo sono capitata. Da più di due anni non vivo più con la mia famiglia, bensì nel paese nel quale ho trovato lavoro. Da diversi mesi, ripresa la mia vita nei luoghi in cui il mio male aveva iniziato ad emergere, avevo iniziato a soffrire di tutto ciò che mi circondava. Sentivo l’esigenza di provare a camminare davvero con le mie gambe e prendere in mano la situazione. Probabilmente ancora troppo giovane, essendo rinata dai torpori di digiuni allucinogeni, mi sono buttata a capofitto senza troppo soffermarmi. Eccomi: vivo in una villa insieme ad un ragazzo. E quel ragazzo, nel giro di poco tempo è diventato il mio compagno di vita. Cercato? Voluto? Accettato? Domande inquietanti e dolorose alle quali, a distanza di molto tempo, inizio a cercare una risposta.
Forse, volendo scappare da me stessa, mi sono tuffata in un mondo totalmente estraneo per potermi ricostruire da zero. Senza fare i conti con quella che in realtà ero “IO”.
Pausa. Riflessione interessante…
Stufa di continue elucubrazioni mentali su quello che stavo vivendo, mi sono infatti allontanata da quello che più mi permetteva di scoprirmi. “Presa” da nuovi impegni, ho sospeso gli incontri con il responsabile del centro di San Vito. E solo ora ne acquisisco consapevolezza. Probabilmente avevo bisogno di non guardare…necessità inconsapevole di non intrufolarmi nel mio cuore…
Lavoro e piscina scandivano le mie nuove giornate che in apparenza mi riempivano di soddisfazione. In realtà, io, null’altro che un pesciolino fuori dall’acqua.
Senza dare troppo peso a quanto mi si creava attorno, ricordo giornate annebbiate di fumo e la luce del sole filtrare dalle fessure delle tapparelle. Testa sotto le coperte e insofferenza diffusa che il giorno successivo cancellavo dalla mia memoria.
 
Lontana da persone che con me potessero condividere paure e angosce ancora suscitate dal dovermi nutrire, soffocavo in me dolori e perplessità che solo chilometri macinati nelle vasche della piscina comunale riuscivano ad alleviarmi.
Il mio ragazzo, ignaro della complessità della mia persona, ha sempre cercato di aiutarmi minimizzando, credo, quello che era il mio sentire.
Ed invece, era proprio di accoglienza ciò di cui ho sempre avuto bisogno.
In giorni difficili riconosco l’affanno nel percorrere la vita dalle mie scelte nel nutrirmi. Esigenza di dimagrire, di mangiare meno o due dita in gola, mi sussurrano alla mente che forse qualcosa non và. Nel presente trovano applicazione gli insegnamenti ricevuti in clinica: un atteggiamento anomalo nel mangiare e pensieri disfunzionali non sono altro che un linguaggio in codice il cui significato è da ricercare nelle proprie paure, difficoltà, delusioni, insuccessi.
In giorni difficili nei quali sembra che io sia sorda alle parole di Igor e viceversa, mi accorgo di quanto poco io sia in contatto con me. Dispersa in un mondo che si è impossessato della mia persona, non so da che parte rivolgermi.
 
5marzo2006
“Questa mattina mi sono svegliata sapendo che il mio ragazzo, ancora addormentato nel nostro letto, con me non è felice.
 
È una giornata piovosa, e il mio essere emozionale si è perfettamente immedesimato con l’universo. Il grigiore e le lacrime del cielo sono dentro di me. Così come una distesa di solitudine.
 
Dopo quattro anni di tentativi di vita autentica, ancora non so dove sono…Dentro di me percepisco il riconoscimento della mia persona, ma purtroppo c’è qualcosa che mi impedisce di partorirla. Il mondo continua a girare ed io ho paura a salire sulla sua giostra con un salto. Avrei bisogno che si fermasse. O forse, avrei bisogno di iniziare a girare da me e poi ritrovarmi tutt’uno con quello che mi circonda.
 
Guardo dentro di me.
In un cantuccio piccolo piccolo del mio stomaco, eccomi rannicchiata. In prossimità dell’ombelico, forse appena sotto. Sono piccola; piccolissima, e mi viene da accovacciarmi e chiudermi come un riccio per avvicinarmi il più possibile a me.
Eccomi.
Relegata in un minuscolo spazio, forse solo ora ne acquisisco consapevolezza. Solo ora guardo in faccia una verità della quale non ero ancora riuscita a catturarne lo sguardo.
 
È difficile trovare uno spazio per gli altri quando non ho spazio neanche per me stessa
 
…Silenzio…
 
Voglia di un corpo sempre più esile, voglia di controllare la mia fame, voglia di sentirmi dire che sono troppo magra, mi creano nella mente molta confusione. In lontananza la consapevolezza che ancora ci sia qualcosa di oscuro, dentro di me…Guardandomi allo specchio provo la sensazione che l’immagine che a me ritorna non sia parte di me. Guardo e non trovo una spiegazione ai miei sentimenti. Nel cervello il pensiero di non essere stata accompagnata nella riscoperta delle mie forme. Nessun sostegno che mi abbia sorretta nel vedere Laura diventare donna. All’inizio, solo Claudio che mi ha presa per mano senza dire niente. Ora, richieste da ogni dove mi rubano alla mia attenzione.
 
Il mio corpo…
un macigno con il quale non riesco a convivere pacificamente. Sempre a ferro e fuoco con la sua imponente presenza, tutt’oggi soffro nel trascinarmi ossa e carne per le vie del mondo. Sempre in stretto legame con lui, ho passato lunghi momenti attaccata all’illusione che solo lui potesse sorreggermi nella mia vita. Fermamente ancorata al pensiero che solo la figura del mio scheletro avrebbe potuto darmi felicità, gioie e successi, mi sono ritrovata in un vortice ammutolente del quale ancora non ho capito bene le regole. E purtroppo parte di me è rimasta impigliata a convinzioni inconsistenti. Pur avendo ritrovato la gioia nel mangiare, in momenti particolarmente faticosi del mio percorso di crescita mi ritrovo trattenuta dalla magia che aleggia attorno all’essere magra…essere magra…la soluzione a tutto…il rimedio ad ogni male…
La razionalità, consapevole della vacuità di queste voci, non mi permette tuttavia di ignorare con leggerezza i tarli del mio pensare. Il fastidio nel vedere “tutta questa carne” attaccata a me, mi ritrova solitaria tra le mura di casa piuttosto che in mezzo alla compagnia di amici. Il fastidio nel sentire il mio essere carnale quando vengo accarezzata, mi ritrova incapace di amare e di vivere l’innamoramento.
Addirittura l’essere donna si intrufola come fosse una dannazione all’interno della mia materia grigia…chissà, forse lunghi momenti di digiuni hanno consumato anche quella…
La penna tra le mie dita ha scritto sul mio diario: Odio avere le mestruazioni. E mi fermo in sospensione…Sono donna ma odio essere donna…e la mia attuale vita senza malattia, mi impedisce di esprimere questo disagio…Solo il rifiuto del contatto con me stessa attraverso gli altri, mi permette di fare emergere questo mio sentire, impedendomi però di amare. Confusione nelle parole, scrivo per cercare una spiegazione. Nel quotidiano, mi intrufolo nei miei meandri senza arrendermi e cerco un miglior contatto con me stessa. Cerco di ascoltarmi. I colloqui con il terapeuta che da alcuni anni si sta prendendo cura di me, non mi hanno ancora permesso di entrare nella mia intimità, ma continuo imperterrita a spiare le mie interiora. Discussioni sul come sentirmi maggiormente parte del mondo, mi portano a vedermi solitaria in mezzo a una miriade di esseri umani. Solo per brevi tratti accompagnata da spiriti affini al mio.
 
In alcuni giorni, accanto a me, Elisa ascolta, comprende e soffre.
Intrapreso anche lei un percorso nuovo all’interno della sua esistenza, capisce e accoglie le mie difficoltà. Il nostro camminare con movenze simili, ci permette di sostenerci a vicenda. Obiettivi e mete diverse, tuttavia, ci rendono entità speciali e differenti e anche il nostro sentire ci ritrova su strade parallele ma separate. Lei che cerca serenità, appagamento e soddisfazione per aver saputo creare qualcosa con le sue forze, io che cerco accettazione da me stessa. Lei che si odia quando le cose vanno male, io che mi odio quando le cose vanno male. Solo chi ha ceduto la propria anima alla morsa della fame può capire, e dentro di me rimpiango Villa Margherita. Richiamo a me il pensiero di essere scheletro per ritrovare complicità e accettazione che sembrano estranee alle persone che ora conosco. Ricadere in un mondo dalla lingua tagliente e dai falsi costumi mi angoscia e mi paralizza cementandomi nell’idea che la magrezza possa tutt’ora un’infinità di cose.
Dentro di me, in un cantuccio, i ricordi sbiaditi dei pesanti disagi generati dall’inedia. A fatica, purtroppo, rammento la falsa idea di potenza datami dal perdere peso. Io che credevo che arrivata a 40 kg sarei stata la persona più felice del mondo. Io che arrivata a 40 kg volevo arrivare a 39, 38… La nebbia imperava. O forse si chiamava “paura”. Una paura mascherata dal cibo, e poi dal fumo, e poi da altre cose ancora…Oggi so che di paura si tratta, ma ancora non riesco a guardarla in faccia. Innumerevoli complessità coprono le sue maligne membra e dentro di me aleggia la sua presenza… Rifacendo il letto di casa mia eccola che bussa con prepotenza: lacrime che sgorgano dai miei occhi mi dicono che lei è ancora con me, ed io sono stufa. Pensieri rinnovati di suicidio mi attraversano, e boccheggio soffocata dalla loro crudeltà gratuita. Nell’anima la sensazione di smarrimento mi tiene compagnia, e nello scrivere questa mia storia un accenno consistente di sospensione mi svuota delle mia viscere. Impulsi incontrollati sembra mi abbiano portata fino a questo mio presente senza chiedermi niente. Scelte non fatte e condizioni accettate sembra abbiano deciso la mia esistenza. Io cerco di spiegarmi, ma trovo solo garbugli.
In momenti di veglia cerebrale, il sole che splende nel cielo e il profumo di miele dei fiori sugli alberi, mi danno la forza per proseguire, e per ritrovarmi ancora qui. L’università, il lavoro e il vivere da sola mi ricordano quanto, fino ad oggi e nonostante tutto ho fatto per me stessa.
Con determinazione e memorie d’ogni sorta che affollano il mio cuore, continuo tentoni sulla via che ho imboccato chissà quando. Trascinando il mio cuore pesante di dolore, proseguo con la speranza, un giorno, di sentirmi più leggera. Per aver intrapreso una dieta a base di amore, di comprensione e di accoglienza.
 
…poi ad un tratto apro gli occhi.
Il cuore in gola.
La stanchezza del lungo viaggio percorso mi ha praticamente addormentata. La lunga strada nei miei meandri più reconditi è giunta al suo termine.
Eccomi, sono io. E finalmente mi sono accorta di me stessa.
 
Nell’estate del 2006, un sabato pomeriggio di quelli indimenticabili per il caldo, ho rincontrato Claudio. Dopo novecentosessantacinque giorni. Ci siamo incontrati in accordo a Venezia, ed è stato come se, tutto il tempo per il quale non ci eravamo più visti, non fosse mai trascorso. Nella confusione della stazione, eccolo camminare verso di me: scarpe nere, pantaloni neri, maglietta bianca, occhiali da sole e a tracolla una borsa. Il suo sorriso, sempre lo stesso ma più maturo, un sorriso di tenerezza, gioia e riconoscenza. In pochi attimi tutto era già chiarito tra di noi. Senza parole, ma solamente con la luce dei nostri occhi, abbiamo visto entrambi il nostro futuro. Da lì all’eternità abbiamo realizzato di essere anime inseparabili.
Abbiamo cominciato a parlare delle nostre vite, i nostri sogni, i nostri progetti e passioni, e abbiamo continuato a farlo per i giorni a seguire fino al presente. Mano a mano che il nostro rapporto ha riacquistato consistenza e concretezza, io ho ricominciato a volermi bene. La gioia che mi ha abbracciata da quel fatidico giorno non mi ha più lasciata, e le risate che accompagnano ogni mio incontro o telefonata con Claudio mi rendono sempre più forte.
Le difficoltà che tutti e due abbiamo avuto tre anni fa, si sono praticamente risolte grazie alla forza di entrambi. Io per la mia strada e Claudio per la sua. Gli screzi del passato sono stati assorbiti dalla nostra crescita. Abbiamo imparato ad essere bastevoli per noi stessi senza doverci sostenere l’uno all’altro in modo fagocitante. Abbiamo scoperto dentro di noi i nostri pensieri e le nostre emozioni, e piano piano abbiamo imparato ad ascoltarli. Ora, possiamo goderne entrambi in modo autonomo ed anche in condivisione, e credo che nulla di più bello avrei mai pensato di sperare per la mia vita e la mia felicità.
Spesse volte, nei nostri incontri del fine settimana, ci ritroviamo a pensare al futuro. Il piacere nello stare insieme è talmente tanto che il desiderio di condividere finalmente la quotidianità si fa sempre più grande. Tuttavia, ognuno dei due ha i propri impegni da portare a termine, e perché i sogni diventino realtà ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Claudio aspetterà. Io aspetterò.
 
 
I minuti insieme e lontani trascorrono, ma nonostante l’immensa felicità che provo nel mio presente, forse c’è ancora qualcosa che non va…Continuando i colloqui con psicoterapeuta e dietista, mi trovo a pensare che forse ci sono ancora delle questioni da risolvere. Non riesco a mantenere un peso stabile, e a quanto pare mi dicono che sono un po’ a rischio. Il numero indicato negli ultimi mesi dall’ago della bilancia, forse è troppo basso. Recupero qualche etto oggi, ne perdo altrettanti domani. Se mi chiedono di arrivare ad avere il minimo dell’indice di massa corporea previsto, li mando a fare in culo. Perché c’è tanto allarme? Mi sento serena, felice, soddisfatta. Il mio lavoro mi consente enormi gratificazioni, lo studio mi diverte, stare con Claudio mi riempie il cuore. Cosa c’è che non va? Qual è il problema?!?
“…il fatto che non riesce a staccarsi dalla sua copertina del controllo del peso” mi dice la dottoressa con la quale controllo il mio peso e la mia alimentazione un paio di volte al mese. “…il fatto che chi viene in questo centro, non viene per passarci il tempo. Viene perché ha una malattia.” “…il fatto che le sue condizioni di salute fisica la possono portare al collasso…”.
Malattia. Collasso. Paura di aumentare di peso. Cazzo.
Forse allora non è proprio tutto risolto come credevo…. Ma cosa devo fare allora per …? La rabbia mi percorre, e mi chiedo davvero cosa diamine dovrei fare. Ora come ora mi sento molto bene dal punto di vista psicologico. Faccio tutto ciò che mi piace fare, condivido parte della mia vita con una persona che mi fa sentire importante ed amata, non ho ossessione di cosa mangiare o cosa non mangiare, né tanto meno di voler perdere peso. Il mio corpo lo accetto e me ne prendo cura… perché mai dovrei cercare di raggiungere quel peso che tanto mi ha fatta soffrire qualche tempo fa? Perchè tornare in una condizione che mi ha portata ad odiarmi ed isolarmi?
…non capisco….
 
E forse non c’è niente da capire. Va bene, ho sofferto di un terribile male. Ma adesso sto bene. Mi rallegro di tutto quanto ho conquistato e spesso sorrido. Il mio passato mi ha formata, cresciuta e portata fino a qui, ma questo non vuole per forza significare che è ancora il mio presente. I digiuni, la voglia, il desiderio e il godere dei morsi della fame, la voglia di essere invisibile, sempre più leggera, sempre più spigolosa, sempre più scheletro, sempre più morte hanno fatto parte di me. E di me fanno tutt’ora parte solo per il fatto che con il tempo mi hanno portata a desiderare altro per me. Sono riuscita ad andare oltre il solo aspetto fisico e a concentrare le mie attenzioni verso altri ambiti. Mai potrò dimenticare chi è Laura e chi è stata Laura, né tanto meno voglio farlo. Sono orgogliosa di me per tutto quanto sono, sono stata e spero di essere in futuro.
 
22marzo 2007
Ore tarde serali, quasi vicine al sonno. Settimana praticamente alle spalle preceduta a sua volta da uno splendido fine settimanali relax. Come spesso, era venuto Claudio a trovarmi: casa libera per via di genitori in trasferta montanara, Spuzzi assente perché in altrettanta trasferta montanara. Oltre le nostre anime, solo la loro fusione. Per due giorni sono noi due. Solo noi. Noi.
Risate, chiacchere, prese in giro e giochi il nostro sfondo, ed ecco che Claudio e Laura, pur senza uno studiato copione, realizzano il sogno. Uno scorcio della loro vita futura insieme li fa emozionare. Passione spontanea e tenero amore. All’apparenza niente, nel profondo la luce. Il lunedì ecco che ritorna. Mai stato tanto bello per la forza di un ricordo …ma ecco assumere le sue normali sembianze… Alzata presto al mattino, papà che, precedendo il sole, si sveglia e va a correre, Mummi ancora addormentata e Spuzzi che prende i mio posto sotto le coperte. Colazione, vari preparativi, e si parte. La settimana così com’è iniziata, si sta già concludendo. Tra le sue braccia porta la mia serenità e quant’altro mi ha accompagnata in questi scorsi sette giorni. Ore di lavoro, lettura del libro di scuola intitolato “Psicologia generale”, scorsa di pagine in inglese, passeggiate con la mia cagnolina, lavoro a maglia, altro genere di lavori manuali. Un sacco di cose, o forse poche. Dipende da che punto di vista la si vuole guardare. Ma soprattutto, non ha nessuna importanza. Il fatto è che, tante o poche, per me sono tutte cose importanti, gratificanti e divertenti. Senz’altro sono un po’ ingombranti quelle che risultano un dovere, ma in fondo tutte fanno parte di me stessa. Ed ecco che un po’ per volta tutto torna al suo posto. La condizione di equilibrio che da luglio mi accompagna, è molto forte. Acuendo l’attenzione su me stessa, posso scorgere molteplici momenti di gioia, serenità, soddisfazione. E l’ombra dello sconforto sale nei rari giorni di stress in cui tutto sembra troppo pesante, e dai contorni troppo allargati. Si chiama paura di aumentare di peso, paura di ingrassare a vista d’occhio nel giro di brevi attimi. Eccola qui con me. Sempre la benvenuta perché omai di casa. Ma va bene così. Ormai ho imparato a comportarmi con lei. Evito di darle corda, semplicemente. Non le permetto di dare adito ad alcun respiro. “Se vuoi esserci, siici, ma sappi che sei solo una mia illusione!” E l’unica arma che ho a disposizione è solo una. Sbarrarle la strada con barricate a base delle solite fette biscottate e latte bollito al mattino e due pasti secondo quella che viene definita dieta dissociata. Abolizione totale per una serie di alimenti troppo pericolosi e per fortuna caduti nel dimenticatoio dei sapori da parecchi anni.
 
“L’inferno dei viventi non è quello che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Italo Calvino)
 
Io, adesso, sto imparando a capire e a riconoscere gli sprazzi di luce che nel mio inferno quotidiano, mi permettono di continuare vivere nonostante l’ostile mondo che mi ha accolta. So che è difficile. So che è impegnativo, ma per ora ci sto riuscendo e sto mettendo a fuoco come fare perché questo mio impegno si concretizzi, nel presente e nel futuro.