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Lettera sulla guarigione

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Perché pensare che si può guarire?

Perché è vero. E’ molto più probabile che una ragazza con un disturbo alimentare guarisca, piuttosto che perseveri nella malattia e si trovi a dover convivere con questo problema tutta la vita. E’ possibile anche per chi, come me, mentre sta male è convinto che non guarirà mai. Dopo anni passati “in compagnia” dell’anoressia, ero convinta che non avrei mai recuperato un rapporto normale col cibo. Avevo elaborato una teoria per la quale io credevo di essere diversa dalle altre persone: io per “funzionare” dovevo per forza avere un disturbo alimentare. Ne ero talmente sicura da pensare che nessuno mi avrebbe mai persuasa del contrario. La condizione di “malata” in cui mi trovavo aveva un sacco di controindicazioni, ma i vantaggi che ne traevo mi avevano convinta che in fin dei conti ne valesse la pena. Ok, dovevo trattenere la fame, avere sempre freddo, essere nervosa e intrattabile, passare interi pomeriggi ad abbuffarmi e vomitare, ma tutto questo mi permetteva di ricevere particolari attenzioni dai miei genitori e dalle altre persone in generale, e soprattutto faceva sì che la gente non riponesse su di me troppe aspettative e responsabilità che mi facevano paura. Essendo malata ero giustificata in tutto, e non serviva che facessi nulla in particolare, e ad esempio non serviva che scegliessi che università frequentare, perché tanto, essendo ammalata, non avrei potuto seguire i corsi.
Razionalmente mi rendevo conto che c’era qualcosa di sbagliato... perché la maggior parte dei ragazzi della mia età non aveva i miei problemi? O comunque, perché riusciva ad affrontarli con la massima tranquillità? E’ stato guardandomi dentro a fondo che ho capito perché avevo paura di affrontare il futuro... ero sempre stata abituata infatti a pensare che se dovevo fare qualcosa, avrei dovuto farla perfettamente, altrimenti sarebbe stato meglio che neanche mi mettessi a farla. In poche parole, o ero sicura che avrei fatto ogni cosa a regola d’arte, oppure la lasciavo da parte e non la facevo nemmeno. Se da un lato questo tipo di ambizione ti porta ad ottenere dei buoni risultati, dall’altro ti costringe a valutare ogni scelta come se si trattasse di una questione di vita o di morte. Non esistevano piccoli errori per me. Un errore in quanto tale era qualcosa di deturpante, non lo potevo accettare, neanche se piccolo. Ad esempio l’idea di iscrivermi ad un’università e poi accorgermi che non mi piaceva, che non faceva per me, mi faceva rabbrividire, e sarebbe stato un fallimento totale. Paralizzandomi all’interno della “gabbia” dell’anoressia, non avrei dovuto più prendere decisioni, ed assumermi l’eventuale responsabilità di aver sbagliato la scelta, cosa che peraltro succede molto spesso e non è certo così grave!
Preferivo rimanere ferma dov’ero piuttosto che rischiare di partire e cadere, pensando che stando ferma avrei potuto avere comunque le mie soddisfazioni. C’è voluto un po’ di tempo per rendermi conto che se anche io restavo ferma, il resto del mondo continuava ad andare avanti, e le soddisfazioni che i miei coetanei man mano ottenevano erano molto più solide e reali rispetto a quelle che ottenevo io vedendomi dimagrire. Una vita dedita alla magrezza non mi avrebbe mai resa veramente soddisfatta ed orgogliosa di me. Non avrebbe mai fatto di me una persona su cui contare, una persona che si spera di conoscere nell’arco della propria vita. Volevo farmi ricordare per quello (anche se poco) che avevo fatto nella mia vita, o per essere stata una ragazza malata? A differenza delle altre malattie, noi qui possiamo decidere di uscirne. Possiamo decidere di lottare contro noi stessi e contro le nostre convinzioni per cambiare le cose.
Pensavo che il trattenermi dal mangiare potesse essere sinonimo di grandissima forza di volontà da parte mia. In realtà, l’idea di disfarmi dall’anoressia, mi richiedeva molta più forza di volontà che rimanerci lì dentro. Ormai ero abituata a stare lì, buona buona magra magra, e l’idea di vedere come sarebbe potuta essere la mia vita senza malattia non mi interessava, anzi, mi faceva paura.
Avevo paura di non stancarmi mai della malattia. Le mie amiche uscivano, facevano festa, si divertivano, ma a me non interessava. Non avrei mai trovato interesse in cose del genere perché a me interessava solo il cibo, il mio peso, le calorie, i miei vestiti che riempivo sempre meno. Alla fine ad un certo punto ci si stufa. E’ inevitabile che succeda, e quando ti rendi conto che non ne puoi più, lì veramente devi tirare fuori i denti. Devi riflettere tantissimo su quanto ti fanno male le cose che ti imponi di fare, gli obblighi che ti imponi quotidianamente di seguire. Ti logorano, ti rendono sempre più apatica e meno interessante.
Quando nel 2005 sono stata ricoverata in clinica per la prima volta, ricordo che non sentivo più alcuna emozione: io che ero sempre stata una ragazza molto sensibile, non riuscivo più né a gioire né a commuovermi, per nessun motivo. Temevo che le mie emozioni le avrei perse per sempre, che non mi sarei mai più entusiasmata, che non sarei mai più riuscita a piangere. Non è così. In realtà l’apatia è data dal sottopeso, e appena recuperi un peso accettabile piano piano le sensazioni tornano a riaffiorare. Ero inoltre convinta che per guarire sarebbe bastato tornare al peso che avevo prima di ammalarmi. Ma quella volta avevo tredici anni, nel 2005 ne avevo 18, e non potevo pretendere di pesare uguale. Ma soprattutto ora, col senno di poi, mi rendo conto che continuavo a basare tutto sul mio peso.
Per la cronaca, ora peso circa 18-19 chili in più del peso minimo mai raggiunto. Giuro che mi vedo esattamente come mi vedevo quella volta. Anzi, forse ora mi vedo più magra di allora! Sembra impossibile, ma è così! Penso spesso che se qualcuno, quando ancora stavo male, mi avesse detto che una volta ripreso peso non mi sarei assolutamente vista “grassa”, forse sarebbe stato più facile lasciarmi andare e fidarmi di chi in qualche modo cercava di aiutarmi.
Ora poi riesco ad affrontare i miei problemi. Ne ho, tanti, ma come tutti, ma rispetto a prima, mi concedo la possibilità di sbagliare e per questo non mi precludo alcune possibilità. Non avrei mai creduto, davvero, che sarei riuscita ad uscirne, e soprattutto ad uscirne così bene. Mangio tranquillamente qualsiasi cosa, le fobie rispetto al cibo e l’ansia che avevo nel mangiare, sono completamente scomparse. Mi concedo di tutto, e una volta raggiunto il mio peso forma non l’ho più superato, pur mangiando tranquillamente come tutte le persone. Devo fare un po’ di ginnastica per tonificare, ma soprattutto perché mi sfoga e mi libera la mente dallo stress della giornata, e non la faccio certo perché mi sento in colpa per quello che mangio. Esco con gli amici, vado in giro, finalmente ho avuto il coraggio di prendere la mia strada, diversa da quella che magari si sarebbero aspettati i miei genitori, ma che mi piace, per cui mi sento portata, e che voglio continuare il più a lungo possibile...