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Mamma, non č un problema di stomaco

L’anoressia, la bulimia, e una madre che fa finta di non vedere

 

Citiamo da "Vanity Fair" n. 7/2009

 

 

Cara Dottoressa,
ho letto la lettera della «diciottenne confusa» (n. 4), e quel grido: «Come fa mia madre a non vedere?» ha continuato a rimbalzarmi dentro come la pallina di un flipper. Io di anni ne ho parecchi di più, sono in un’età in cui i miei problemi li devo e voglio affrontare da sola. Ma quella domanda mi fa ancora male.
Sono stata un’adolescente cicciottella e solitaria, non mi sono mai piaciuta, ma in qualche modo convivevo con me stessa. Poi qualche chilo messo su a Natale, una dieta per rimettermi in forma, i complimenti che diventano un’arma a doppio taglio. E il peso che ha continuato a scendere. Non mangiando mi sembrava di mantenere il controllo almeno su me stessa: non mi rendevo conto che lo stavo perdendo.
Sono passati cinque anni, adesso ne ho 31, sto meglio ma non bene. Ed è una coltellata quando mia madre mi chiede come va il mio stomaco.
Mi viene voglia di gridarle in faccia che il mio stomaco non ha mai avuto niente, che è la testa che non va, che non è la gastrite, che sono stata anoressica e ora sono bulimica. Forse è colpa mia che non volevo parlargliene per vergogna, perché mi sento stupida, come se fosse vero che chi ha disturbi alimentari ci cade perché ha l’obiettivo di essere una modella e non per insicurezza e senso di inadeguatezza e quel terribile senso di vuoto che nemmeno «tutto il pane del mondo» potrà mai colmare. Ma fa lo stesso male che lei non abbia saputo o voluto vedere. La capisco, ho il mio bel caratterino e magari, se usasse il vero nome delle cose, sarei capace di prenderla a male. Ma in fondo, forse, mi sentirei meno sbagliata.
L.
 
Questa lettera, cara L., è meglio di un manuale di psicopatologia dei disturbi alimentari. Meglio, perché c’è tutto quel che c’è da capire, ma c’è anche tutto il dolore che un’esperienza come la tua scaraventa sull’anima. C’è il tema del controllo o, meglio, di quell’illusione di controllare tutto e tutti controllando il proprio corpo e finendo poi in realtà per smarrirsi sempre più. C’è il tema del vuoto, incolmabile. C’è il tema del pieno, insostenibile. C’è il senso di colpa, accanto all’orgoglio smisurato. C’è la grande ambivalenza che ci fa desiderare fino allo struggimento una vicinanza che, al tempo stesso, è temuta e respinta. La vicinanza con la madre, più di tutto, una mancanza straziante e insieme un pericolo da sventare a ogni costo. E poi c’è anche la consapevolezza di quell’odiosa banalizzazione mediatica secondo cui le ragazze anoressiche sarebbero le vittime sciocche e passive dei modelli femminili dominanti. Come se, una volta convinti gli stilisti a far sfilare dalla 44 in su, potessimo risolvere il problema. Un altro modo, subdolo e sottile, di squalificare le donne.
Anoressia e bulimia sono un male grande, profondo, complicato. Che ha la perfidia di attecchire preferibilmente sul terreno fertile di personalità ricche e complesse, di ragazze sensibili e intelligenti e profonde. Proprio come te, cara L. Altroché sbagliata. Con tutto il rispetto per le mamme che non sanno o non possono vedere – forse perché non hanno potuto vedere se stesse – a sbagliare semmai è qualcun altro. Coraggio, dunque. Le cose che scrivi sono gravide di consapevolezza di te. E la consapevolezza è una forma d’amore. Una forma alta di amore per se stessi. Dai che ci siamo quasi!
 
(Dott.ssa Irene Bernardini)