// homepage / Testimonianze / Testimonianza di un papā

Testimonianza di un papā

 

Quando ci rendiamo conto è già tardi.
Non riusciamo a capire.
Vediamo solo che non mangia e perde peso.
A volte sembra apatica e abulica, completamente estranea a tutto ciò che la circonda, e continuiamo a non capire.
Personalmente sono quasi certo di possedere cognizioni, status culturale e forze fisiche sufficienti per far fronte alla situazione, ma ogni volta che tento di intervenire vado a sbattere contro una realtà sconosciuta che non mi aspettavo.
Poi, al manifestarsi delle prime alterazioni comportamentali più serie, vado nel panico.
“Certe cose non possono succedere in una famiglia normale; abbiamo fatto sempre tutto assieme, siamo sempre stati calmi, tranquilli e mai litigiosi. Non siamo proprio come quelli del mulino bianco, perché non abitiamo in campagna, ma non abbiamo mai avuto problemi e siamo sempre andati tutti d’amore e d’accordo! Allora, quelli che sono divorziati? Oppure quelle famiglie dove la madre è alcolizzata ed il padre un desaparecido?”
Mia moglie, proprio perché moglie, madre e donna, e con tutte le caratteristiche di sensibilità proprie della specie, è già arrivata a focalizzare il problema.
Arrivano così i primi calci sotto il tavolo ed improvvise occhiate di rimprovero.
Sono sempre più perso e confuso.
Cerco di chiarirmi le idee leggendo e frequentando incontri per genitori persi come me, ma la confusione aumenta e non capisco più niente.
Mi guardo dentro chiedendomi dove ho sbagliato, ma non trovo risposte.
Intanto lei diventa la protagonista assoluta di ogni momento della mia esistenza; ogni cosa che faccio, ogni pensiero, ogni immagine, mi riporta a lei.
Ho la testa piena di lei, ma nello stesso tempo mi sento impotente, troppo confuso per poterle essere utile.
Col senso di impotenza e la concreta incapacità di migliorare le cose, anche l’autostima se ne va al tal paese.
 
Riesco ad imparare, ma molto lentamente, a contare fino a dieci prima di aprire bocca, a non parlare più di cibo e di mangiare in genere, a “non farci caso”, a “lasciarla fare”; sono costretto ad assumere un autocontrollo che non fa parte del mio carattere e piano piano, giorno dopo giorno, arrivo a non riconoscermi. Non mi sento più me stesso.
Non devo parlare, non devo vedere, non devo sentire!
Per fortuna sono libero di scrivere e posso raccogliere per iscritto qualche considerazione spicciola, qualche pensiero, sulla situazione che sto vivendo.
A sera sono così “sereno” che, coricandomi, mi auguro di rivederla anche il mattino seguente: si va a dormire nella speranza di rivederla viva anche il giorno dopo!
Tutto il mondo ruota attorno a lei, di giorno, quando sono sveglio, e di notte, perché spesso non dormo.
 
E man mano che la situazione peggiora per lei, peggiora di riflesso anche per tutti quelli che le stanno attorno.
Mi sembra di avere a che fare con un matto che ragiona, perché ad una condizione di buio totale si alternano inattesi lampi di lucidità disarmante. Ma dato che lei non è più se stessa, i nostri comportamenti nei suoi riguardi non possono più essere quelli di prima; disponibilità, gentilezza, fermezza, severità non hanno senso per un soggetto che non vive la realtà!
Questa “fuga dal reale” pian piano coinvolge l’intera famiglia.
Come lei giunge ad isolarsi dal mondo esterno, indifferente a tutti e a tutto, così noi, coinvolti con anima e corpo nello sforzo di portarle aiuto e spesso afflitti da inutili sensi di colpa, rischiamo la medesima fine.
Non c’è più tempo per i parenti, che non sono in grado di capire; non c’è più tempo per amici e conoscenti, che ancor di più non sono in grado di capire; non c’è più tempo per noi stessi che crediamo di capire tutto, ma in ogni caso non capiamo niente!
L’altra figlia, povera, diventa una comparsa costretta a subire, suo malgrado, gli umori che la situazione comporta.
Le giornate, le serate, le domeniche, le ferie vengono subordinate “al problema”, ma nulla vale a risolverlo.
A noi sembra di essere essenziali, fondamentali; riteniamo la nostra “amorosa presenza” la chiave di volta per la risoluzione della sua crisi; non ci rendiamo conto invece che così stiamo cadendo anche noi tutti in piena crisi.
Attorno a lei vorremmo un alone di serenità assoluta, invece il clima famigliare è sempre più avvolto da una tensione pesante ed incombente che impedisce un dialogo aperto, costruttivo.
 
Lo sconquasso che travolge la famiglia porta anche allo sconvolgimento della coppia che finisce col non esistere più come tale. Ruoli, regole, abitudini e certezze che si ritenevano ferme, incrollabili, vengono spazzate via o, nella migliore delle ipotesi, rimesse in discussione.
E se è vero che amore e sesso partono dal cuore e dal cervello, in simili situazioni non c’è più spazio né per l’uno, né per l’altro. Cuore e cervello sono sovraffollati, impegnati in occupazioni e pensieri che prendono il sopravvento su tutto il resto…….
Il rapporto di coppia viene messo a durissima prova ed anche le situazioni più stabili e consolidate faticano a reggersi.
Tutti gli equilibri vengono meno.
Per non soccombere agli eventi e per una forma di autodifesa ci rifugiamo nel nostro “sano egoismo”, perdendo però di vista l’obiettivo dell’“uniti si vince”.
Sarebbe invece importante essere solidali ed univoci nei comportamenti e sereni nello spirito, nonostante tutto, per poter offrire un aiuto, in caso di aperta richiesta. Senza un’adeguata corrispondenza di intenti con il partner, si rischia di andare chi da una parte e chi dall’altra, stravolgendo i normali tempi e momenti vissuti in comune.
Ma i fenomeni depressivi prendono il sopravvento.
Le mamme, tendenzialmente più inclini a questa patologia, in qualche caso complicata da problemi ormonali, ricorrono all’impiego di adeguati farmaci; i babbi, invece, ugualmente inclini e altrettanto vacillanti sul piano umorale, ma meno propensi a riconoscerlo, si tuffano in altre terapie, non farmacologiche, ma altrettanto efficaci e tutte riconducibili a qualsiasi tipo di iperattività compensativa.
Se il conflitto ci travolge, la depressione ci vince, la speranza ci abbandona non saremo mai sufficientemente lucidi ed obbiettivi per poter intervenire in caso di bisogno, con il rischio di contribuire involontariamente anche alla cronicizzazione della malattia.
Ma i genitori non possono permettersi il lusso di lasciarsi travolgere dalle vicende di casa; devono imparare ad incassare anche colpi bassi e a reagire come materassi, assorbendo anche le provocazioni più spudorate senza reagire.
Ed è facile a dirsi. 
Sotto il profilo pratico la cosa è estremamente difficile da attuare; la soluzione da noi sperimentata è stata quella di abbandonare, quasi subito, il tentativo di autogestione del problema e di affidarsi a personale specializzato.
Se una figlia deve effettuare il proprio percorso per riprendere pieno contatto con la realtà, anche i genitori devono seguire un loro cammino, quasi parallelo, per poter “seguire” passo dopo passo i diversi aspetti evolutivi del problema.
La terapia famigliare e la terapia di coppia costituiscono un supporto ed un aiuto basilare per chi si trova a dover affrontare un disturbo alimentare.
Di malattia si tratta e come tale deve essere affrontata ed essendo una patologia a coinvolgimento psichico, solo da psicologi e psichiatri può venir trattata.
Non e possibile parlare di “pudore”, nell’affrontare questo tema, ma solo di paura di guardare in faccia una scomoda realtà.
Da queste situazioni è quasi impossibile uscirne senza un aiuto, ma sappiamo anche quanto sia difficile rassegnarsi ed abbassarsi a chiedere aiuto.
E l’egoismo, il menefreghismo possono portare a meccanismi di difesa perversi che ci aiutano solo a non vedere e a minimizzare.
Quando si viene coinvolti nel profondo, la sola via per riemergere è quella di affidarsi singolarmente, in coppia o come nucleo famigliare, a chi ha le competenze e le capacità per riportarci a galla. 
Certo tutto questo, se arriva a risolversi definitivamente, non passa senza lasciare segni.
Ci si ritrova tutti, anche per effetto del tempo che scorre, profondamente cambiati.
Certo più vecchi, visto che a volte le cose si trascinano piuttosto a lungo, ma anche diversi nel modo di vedere e di affrontare la vita e nello stesso stile condurre la vita.
Anche questo tipo di esperienza, pur con tutte le sofferenze che è in grado di produrre, può lasciare qualche segno positivo. Ci si ritrova mutati nel carattere che viene a subire un generale rafforzamento, mentre nello stesso tempo vengono smussati gli spigoli più acuti. Arriviamo, infatti, a scoprire in noi doti che forse non sapevamo proprio di possedere e oltre a pazienza, costanza, caparbietà, si può anche giungere a smettere di fumare, a parlare alla radio, ad affrontare un “pubblico” di sconosciuti, a tollerare persino un cane alla propria corte casalinga. In sintesi si finisce col diventare più tolleranti nei confronti di tutto ciò che non richiede una giustificata rigidità.
E poi, sull’onda dei lenti e progressivi successi, torniamo a riacquistare serenità e fiducia nella vita, a riappropriarci degli spazi prima persi, a ricreare e scoprire nuove attività.
Per trovare poi in noi stessi uno stimolo a non mollare, non dobbiamo mai dimenticare, quando ci troviamo in piena difficoltà, che c’è comunque chi sta sempre peggio di noi che al peggio non c’è mai limite. E’ una conclusione magra e semplicistica, ma profondamente reale.